"...il più bel sogno fu il sogno non sognato e il miglior bacio quello non restituito..."

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giovedì 10 giugno 2010

"Editoriale" del Giovedì

Considerando che l'argomento di questo blog è la musica, ogni Giovedì (o quasi) ci sarà l'"editoriale", ovvero la recensione o comunque la discussione di un album musicale particolarmente significativo. Ovviamente gli scritti sono soggettivi, anche se cercherò di parlare di quello che vorrei leggere se leggessi un blog da qualche parte nella rete. Cominciamo con "Strange days" dei Doors, l'album della consacrazione del gruppo californiano uscito nel 1967. Un viaggio fra gli amori sfrenati di "Love me two times" e quelli dolci e malinconici di "You're lost little girl", fino ad arrivare alla conclusione: "people are strange".

Because music is the subject of this blog, every Thursday ,or very nearly, I’ll publish an editorial in which you’ll find a rewiew or, simply, a discussion about a famous musical album. Obviously, the rewiews that you can read in this blog, reflect my personal opinion on that singer or on that song, but I’ll always try to be impartial and to write what I would want to read in any blog of network. Let’s start with “Strange days” by The Doors, the official consecration ‘s album of the unforgettable band from California, a journey around both unbridled loves like "Love me two times", and sweet and sad loves, like “You’re lost little girl”, till to draw this conclusion: “people are strange”…

Ripetersi dopo il successo commerciale di "Light my fire" e l'ipnotica e controversa "The end" non era facile per i Doors. E infatti le vendite di "Strange Days", seppur discrete, non raggiunsero mai le cifre di "The Doors" che portarono alla ribalta Jim Morrison e soci. Ma si sa, almeno chi è appassionato di musica, che le vendite anche se importanti, non sono tutto. E lo è stato sempre convinto Jim Morrison, che ha definito "Strange days" il più grande album dei Doors. Il gruppo di Los Angeles in questo disco ripropone la psichedelia, che viene amalgamata al blues e al rock'n'roll di maniera. La claustrofobica title-track apre un disco che squarcia l'anima dell'ascoltatore fino a disseminarne i pezzi che lentamente cerceranno di ricomporsi, senza riuscirci mai del tutto. La sensazione si amplifica in "You're Lost Little Girl", dove la voce di Jim Morrison trasmette il senso di ricerca interiore metaforizzandolo con una ragazza che si è persa, anche se "penso che tu sappia cosa fare". Tensione smorzata su "Love me two times", in cui un rock'n'roll trascinante irrompe come un fulmine a ciel sereno. Stavolta l'amore fisico prevale su quello intimo. Amore quasi primordiale, non volgare ma esplicito.
Però si torna di nuovo in tensione con "Unhappy girl", ballata dolce e malinconica sull'infelicità di una ragazza, "chiusa in una prigione" ma "inventata da te", come a riassumere il mito platonico della caverna, in cui l'essere umano è incatenato, prigioniero di se stesso e delle sue ombre.
Dopo il breve esperimento di "horses latidues", "Moonlight drive" si presenta come un ritratto semi-realista dell'amore che passeggiando al "chiaro di luna" e affrontando "le maree", deve cercare di fissarsi nell'anima.
L'album viene in qualche modo spiegato nella sua natura da "People are strange", capolavoro blues-psichedelico sull'isolamento dell'individuo, che risulta invisibile agli altri e gli altri sembrano strani e diversi, come diverse ti sembrano le strade che conoscevi già.
"My Eyes Have Seen You" e "I Can’t See Your Face" sembrano intrecciarci fra di loro, contemplando il linguaggio del corpo e dello sguardo.
Chiude "When the muisc's over", che sulla falsariga di "The End" si posiziona come un dialogo interiore reso noto a tutti però, in cui strane riflessioni sulla vita e sulla natura si susseguono senza un filo logico.
"Strange days" è davvero l'apice della produzione dei Doors e anche il successivo disco, "Waiting for the sun",avrà maggiore successo commerciale ma manterrà quel carattere ipnotico e introspettivo di "Strange days". La vena creativa del Re Lucertola ha lasciato il segno.

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