Considerando che l'argomento di questo blog è la musica, ogni Giovedì (o quasi) ci sarà l'"editoriale", ovvero la recensione o comunque la discussione di un album musicale particolarmente significativo. Ovviamente gli scritti sono soggettivi, anche se cercherò di parlare di quello che vorrei leggere se leggessi un blog da qualche parte nella rete. Cominciamo con "Strange days" dei Doors, l'album della consacrazione del gruppo californiano uscito nel 1967. Un viaggio fra gli amori sfrenati di "Love me two times" e quelli dolci e malinconici di "You're lost little girl", fino ad arrivare alla conclusione: "people are strange".
Because music is the subject of this blog, every Thursday ,or very nearly, I’ll publish an editorial in which you’ll find a rewiew or, simply, a discussion about a famous musical album. Obviously, the rewiews that you can read in this blog, reflect my personal opinion on that singer or on that song, but I’ll always try to be impartial and to write what I would want to read in any blog of network. Let’s start with “Strange days” by The Doors, the official consecration ‘s album of the unforgettable band from California, a journey around both unbridled loves like "Love me two times", and sweet and sad loves, like “You’re lost little girl”, till to draw this conclusion: “people are strange”…
Ripetersi dopo il successo commerciale di "Light my fire" e l'ipnotica e controversa "The end" non era facile per i Doors. E infatti le vendite di "Strange Days", seppur discrete, non raggiunsero mai le cifre di "The Doors" che portarono alla ribalta Jim Morrison e soci. Ma si sa, almeno chi è appassionato di musica, che le vendite anche se importanti, non sono tutto. E lo è stato sempre convinto Jim Morrison, che ha definito "Strange days" il più grande album dei Doors. Il gruppo di Los Angeles in questo disco ripropone la psichedelia, che viene amalgamata al blues e al rock'n'roll di maniera. La claustrofobica title-track apre un disco che squarcia l'anima dell'ascoltatore fino a disseminarne i pezzi che lentamente cerceranno di ricomporsi, senza riuscirci mai del tutto. La sensazione si amplifica in "You're Lost Little Girl", dove la voce di Jim Morrison trasmette il senso di ricerca interiore metaforizzandolo con una ragazza che si è persa, anche se "penso che tu sappia cosa fare". Tensione smorzata su "Love me two times", in cui un rock'n'roll trascinante irrompe come un fulmine a ciel sereno. Stavolta l'amore fisico prevale su quello intimo. Amore quasi primordiale, non volgare ma esplicito.
Però si torna di nuovo in tensione con "Unhappy girl", ballata dolce e malinconica sull'infelicità di una ragazza, "chiusa in una prigione" ma "inventata da te", come a riassumere il mito platonico della caverna, in cui l'essere umano è incatenato, prigioniero di se stesso e delle sue ombre.
Dopo il breve esperimento di "horses latidues", "Moonlight drive" si presenta come un ritratto semi-realista dell'amore che passeggiando al "chiaro di luna" e affrontando "le maree", deve cercare di fissarsi nell'anima.
L'album viene in qualche modo spiegato nella sua natura da "People are strange", capolavoro blues-psichedelico sull'isolamento dell'individuo, che risulta invisibile agli altri e gli altri sembrano strani e diversi, come diverse ti sembrano le strade che conoscevi già.
"My Eyes Have Seen You" e "I Can’t See Your Face" sembrano intrecciarci fra di loro, contemplando il linguaggio del corpo e dello sguardo.
Chiude "When the muisc's over", che sulla falsariga di "The End" si posiziona come un dialogo interiore reso noto a tutti però, in cui strane riflessioni sulla vita e sulla natura si susseguono senza un filo logico.
"Strange days" è davvero l'apice della produzione dei Doors e anche il successivo disco, "Waiting for the sun",avrà maggiore successo commerciale ma manterrà quel carattere ipnotico e introspettivo di "Strange days". La vena creativa del Re Lucertola ha lasciato il segno.
giovedì 10 giugno 2010
domenica 6 giugno 2010
Perchè bisogna schierarsi per forza?
"Perchè bisogna schierarsi per forza? Se lo domandava spesso negli anni '70 Rino Gaetano, cantautore romano tra i più originali del panorama musicale italiano. Gaetano in questo caso si riferiva alla possibilità di etichettare il suo lavoro artistico, molto frequente in quel periodo: nonostante gli anni 70' rappresentino l'apice della musica italiana (e non), in questi anni sono nate le prime distinzioni, i primi steccati che tendono a classificare una canzone, o più in generale un artista, secondo stereotipi semplificativi e poco concreti.
E' come se in quegli anni la produzione musicale venisse raccolta in una grande libreria o videoteca, con dei codici alfanumerici indicanti un settore.
Quindi Claudio Baglioni e Lucio Battisti li trovi sotto l'etichetta "sentimento & co", Fabrizio De Andrè e Franco Battiato in " Poesia e...", Francesco Guccini e Francesco De Gregori " sociale, politico e impegno", ecc...
Ammesso che queste etichette siano assegnate coerentemente con i temi e i motivi ricorrenti delle canzoni di questi artisti, un cantautore come Rino Gaetano dove dovrebbe essere collegato? E' un impegnato? è un poeta? o è forse un giullare?
Ecco, l'originalità dell'opera musicale di Rino Gaetano non si può racchiudere in un termine o un codice, perchè comprende sia i caratteri di De Gregori che quelli di Baglioni. E ognuno di questi artisti, anche se in modo personale e aderente al proprio stile, in qualche occasione si riserva di realizzare canzoni strutturandole come Gaetano.
Il concetto di steccati nella musica italiana è avvilente e privo di senso, perchè le classificazioni nette uccidono la musica, la neutralizzano e stereotipano.
Le canzoni di Rino Gaetano sono piene del cosiddetto "non-sense", perchè la cifra stilistica del cantautore di origine calabrese è pervasa da elementi linguistici che esaltano il suono e la beffardagine delle parole piuttosto che il significato delle parole stesse. In un mondo dominato dal caos (e a quel tempo rispetto ad oggi era molto meno), la musica può raccontare questo senza essere necessariamente sentimentale o eslicitamente impegnata politicamente, ma può farsene beffe, cercando di usare l'ironia come elemento narrativo e di critica. Le canzoni di Rino Gaetano sono davvero dei quadri, come quelle di De Gregori sono definite quadri impressionisti, quelle di Gaetano possono essere definite dadaiste o surrealiste, ma qualunque definizione diamo sarà sempre una restrizione. Rino Gaetano ha sempre saputo dove schierarsi, e lo ha fatto, ma non è entrato dentro una categoria. Anzi, si. Alla fine può essere classificato come un "giullare" "impegnato" nella "poesia" "sentimentale" e "politica"
E' come se in quegli anni la produzione musicale venisse raccolta in una grande libreria o videoteca, con dei codici alfanumerici indicanti un settore.
Quindi Claudio Baglioni e Lucio Battisti li trovi sotto l'etichetta "sentimento & co", Fabrizio De Andrè e Franco Battiato in " Poesia e...", Francesco Guccini e Francesco De Gregori " sociale, politico e impegno", ecc...
Ammesso che queste etichette siano assegnate coerentemente con i temi e i motivi ricorrenti delle canzoni di questi artisti, un cantautore come Rino Gaetano dove dovrebbe essere collegato? E' un impegnato? è un poeta? o è forse un giullare?
Ecco, l'originalità dell'opera musicale di Rino Gaetano non si può racchiudere in un termine o un codice, perchè comprende sia i caratteri di De Gregori che quelli di Baglioni. E ognuno di questi artisti, anche se in modo personale e aderente al proprio stile, in qualche occasione si riserva di realizzare canzoni strutturandole come Gaetano.
Il concetto di steccati nella musica italiana è avvilente e privo di senso, perchè le classificazioni nette uccidono la musica, la neutralizzano e stereotipano.
Le canzoni di Rino Gaetano sono piene del cosiddetto "non-sense", perchè la cifra stilistica del cantautore di origine calabrese è pervasa da elementi linguistici che esaltano il suono e la beffardagine delle parole piuttosto che il significato delle parole stesse. In un mondo dominato dal caos (e a quel tempo rispetto ad oggi era molto meno), la musica può raccontare questo senza essere necessariamente sentimentale o eslicitamente impegnata politicamente, ma può farsene beffe, cercando di usare l'ironia come elemento narrativo e di critica. Le canzoni di Rino Gaetano sono davvero dei quadri, come quelle di De Gregori sono definite quadri impressionisti, quelle di Gaetano possono essere definite dadaiste o surrealiste, ma qualunque definizione diamo sarà sempre una restrizione. Rino Gaetano ha sempre saputo dove schierarsi, e lo ha fatto, ma non è entrato dentro una categoria. Anzi, si. Alla fine può essere classificato come un "giullare" "impegnato" nella "poesia" "sentimentale" e "politica"
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lunedì 24 maggio 2010
War is over
La tragedia della guerra raccontata dalla musica: dalle proteste di Bob Dylan alla struggenza narrativa di De Andrè, passando per la critica riflessiva di De Gregori e a quella sfrontata e corrosiva dei Doors.
La guerra è sempre stato uno degli argomenti più ricorrenti nella cultura della musica rock.
La tragicità che caratterizza la guerra si presta a narrazioni letterarie, trasposizioni cinematografiche, ma anche nella musica trova largo spazio, soprattutto a partire dagli anni '60.
In quegli anni si assiste ad una rivoluzione culturale che nel '68 tocca il suo apice. Sono gli anni in cui Bob Dylan protesta per le città americane con "Blowin in the wind"; i Beatles "fabbricano "la musica moderna consegnando album come "Sgt Pepper lonley hearts club band"; i Doors e gli altri promotori della psichedelia spopolano fra i giovani. Nel frattempo gli USA stanno combattendo la guerra in Vietnam che diventerà la prima sconfitta militare americana. Proprio il Vietnam è il leit motiv di tanta produzione musicale del periodo, dove le proteste e le contestazioni si susseguivano per tutta l'America e l'Europa.
The Unknown soldier em>dei Doors esprime in pieno il sentimento di rifiuto nei confronti della guerra della società americana: Jim Morrison in questo caso canta a squarciagola War is over nelle ultime battute che precedono un frastuono musicale che ricorda l'inferno e il caos che caratterizza gli scontri bellici. La canzone acquista maggiore significanza se si considera che il padre di Jim Morrison è un marine impegnato proprio nei mari Vietnamiti, e il fatto che il figlio di un militare contesti una causa (sbagliata) nazionale la dice lunga sull'importanza che può avere l'arte della musica in particolare.
Ma anche in Italia esiste una produzione musicale critica nei confronti della guerra; tra gli 60' e '70 la canzone italiana si evolve e nasce la canzone d'autore, di taglio più elevato rispetto alla classica melodia italiana, e con una concentrazione maggiore sul sociale e politico. Cantautori come Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini e Francesco De Gregori sono tra i massimi "critici" della guerra in campo musicale. Le loro canzoni raccontano la guerra, vista da un protagonista principale (La guerra di Piero) o narrando un ipotetico ritorno a casa dei soldati (Generale).
Proprio in Francesco De Gregori si rintraccia spesso il tema della guerra, che ricorre spesso anche in canzoni che non hanno un immediato riferimento bellico .
La musica, come il cinema e la letteratura, deve sempre rivendicare i suoi diritti di riflessione , perchè è sempre stato uno strumento di libertà di espressione molto efficace e condannare una guerra in musica può senz'altro aiutare a mobilitare l'establishment politico-economico che spesso trae vantaggio dalle disgrazie che causa una guerra a scapito dei milioni di civili che muoiono per un motivo che non conoscono.
Visualizzazione ingrandita della mappa
Ecco le strade californiane dove si aggiravano i Doors durante la protesta contro la guerra
La guerra è sempre stato uno degli argomenti più ricorrenti nella cultura della musica rock.
La tragicità che caratterizza la guerra si presta a narrazioni letterarie, trasposizioni cinematografiche, ma anche nella musica trova largo spazio, soprattutto a partire dagli anni '60.
In quegli anni si assiste ad una rivoluzione culturale che nel '68 tocca il suo apice. Sono gli anni in cui Bob Dylan protesta per le città americane con "Blowin in the wind"; i Beatles "fabbricano "la musica moderna consegnando album come "Sgt Pepper lonley hearts club band"; i Doors e gli altri promotori della psichedelia spopolano fra i giovani. Nel frattempo gli USA stanno combattendo la guerra in Vietnam che diventerà la prima sconfitta militare americana. Proprio il Vietnam è il leit motiv di tanta produzione musicale del periodo, dove le proteste e le contestazioni si susseguivano per tutta l'America e l'Europa.
The Unknown soldier em>dei Doors esprime in pieno il sentimento di rifiuto nei confronti della guerra della società americana: Jim Morrison in questo caso canta a squarciagola War is over nelle ultime battute che precedono un frastuono musicale che ricorda l'inferno e il caos che caratterizza gli scontri bellici. La canzone acquista maggiore significanza se si considera che il padre di Jim Morrison è un marine impegnato proprio nei mari Vietnamiti, e il fatto che il figlio di un militare contesti una causa (sbagliata) nazionale la dice lunga sull'importanza che può avere l'arte della musica in particolare.
Ma anche in Italia esiste una produzione musicale critica nei confronti della guerra; tra gli 60' e '70 la canzone italiana si evolve e nasce la canzone d'autore, di taglio più elevato rispetto alla classica melodia italiana, e con una concentrazione maggiore sul sociale e politico. Cantautori come Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini e Francesco De Gregori sono tra i massimi "critici" della guerra in campo musicale. Le loro canzoni raccontano la guerra, vista da un protagonista principale (La guerra di Piero) o narrando un ipotetico ritorno a casa dei soldati (Generale).
Proprio in Francesco De Gregori si rintraccia spesso il tema della guerra, che ricorre spesso anche in canzoni che non hanno un immediato riferimento bellico .
La musica, come il cinema e la letteratura, deve sempre rivendicare i suoi diritti di riflessione , perchè è sempre stato uno strumento di libertà di espressione molto efficace e condannare una guerra in musica può senz'altro aiutare a mobilitare l'establishment politico-economico che spesso trae vantaggio dalle disgrazie che causa una guerra a scapito dei milioni di civili che muoiono per un motivo che non conoscono.
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Ecco le strade californiane dove si aggiravano i Doors durante la protesta contro la guerra
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giovedì 13 maggio 2010
Rock fra cultura e spettacolo
Si sente dire in giro, spesso e volentieri, che la musica è spettacolo. Oppure che la musica è intrattenimento. Considerando che la televisione nelle sue trasmissioni "affitta" di tanto in tanto qualche canzone di De Gregori per esempio, magari come stacchetto musicale di qualche varietà o talk-show o un "salotto televipparo", beh..certamente la canzone si può intendere come spettacolo o intrattenimento. Solo che, quando una di queste trasmissioni manda "La donna cannone"ci si accorge della dissonanza fra canzone e contesto (televisivo ovviamente). Non è l'ennesimo attacco al sistema della televisione, ma una considerazione dettata dalla passione per la musica, quella vera, con la M maiuscola, e dal tentativo di preservarla e circoscriverla in un contesto più adatto.
Senza dubbio una canzone possiede caratteristiche tipiche dello spettacolo e dell'intrattenimento, ma non è lo stesso spettacolo "volgarizzato" della tv. Le canzoni non possono essere assimilate al telegossip perchè nelle canzoni si intravede la realtà delle mondo, dei sentimenti, dei problemi, mentre in televisione, tutto è fiction, nonostante ci vogliano fare capire il contrario, cioè che la vita è quella trasmessa 24h su 24 del Grande Fratello.
John Lennon sosteneva che "i Beatles diventano sempre più popolari di Gesù Cristo e il rock non morirà, se morirà, prima del cristianesimo". Affermazioni come queste sono entrate nella storia, ma lasciando perdere il tono provocatorio, sono indicatori di una certa rilevanza della musica nella cultura di una società. Già, la cultura. Quella parola astratta che designa icone concrete, come la letteratura, il teatro, la scienza, l'architettura. Ad un primo impatto ci si potrebbe chiedere perchè i Pink Floyd dovrebbero far parte della cultura insieme a Dante o Galileo. Ma pensandoci meglio, la cultura è un libro al cui interno si trovano tutte le forme possibili di una società, per cui nel "libro" della cultura occidentale s'incontrano teorie della relatività, due amanti segreti di nome Romeo e Giulietta, sottomarini gialli psichedelici, tecniche di urbanistica contemporanea, equazioni esponenziali, barbieri di siviglia, girasoli dipinti su tela, e Bob Dylan che canta "Mr Tamburine man".
Proprio negli anni in cui parlava John Lennon stava nascendo la musica pop, intesa come espressione artistica popolare, usando il termine "popolare" nella sua accezione più vera e completa. Certamente nella cultura popolare l'uso dei mass-media è strategico, e anche la musica ne ha usifruito e ne usufruisce ancora oggi. Il problema è che con gli anni si è passati dal termine "popolare" a quello di "massa", che riassume un pò i tempi che stiamo vivendo
La visione artistica della musica è rimasta del tutto intatta per la "vecchia musica", ovvero quella classica, che certamente non poteva e non può sfruttare i mezzi di comunicazione di massa come può fare il rock. Ma se sfruttare il medium significa mercificare e commercializzare la musica, allora forse sarebbe giusto chiamare quella musica con altri termini, perchè si potrebbe incorrere nell'errore in quanto la parola musica si trova già scritta sul libro "Cultura".
Senza dubbio una canzone possiede caratteristiche tipiche dello spettacolo e dell'intrattenimento, ma non è lo stesso spettacolo "volgarizzato" della tv. Le canzoni non possono essere assimilate al telegossip perchè nelle canzoni si intravede la realtà delle mondo, dei sentimenti, dei problemi, mentre in televisione, tutto è fiction, nonostante ci vogliano fare capire il contrario, cioè che la vita è quella trasmessa 24h su 24 del Grande Fratello.
John Lennon sosteneva che "i Beatles diventano sempre più popolari di Gesù Cristo e il rock non morirà, se morirà, prima del cristianesimo". Affermazioni come queste sono entrate nella storia, ma lasciando perdere il tono provocatorio, sono indicatori di una certa rilevanza della musica nella cultura di una società. Già, la cultura. Quella parola astratta che designa icone concrete, come la letteratura, il teatro, la scienza, l'architettura. Ad un primo impatto ci si potrebbe chiedere perchè i Pink Floyd dovrebbero far parte della cultura insieme a Dante o Galileo. Ma pensandoci meglio, la cultura è un libro al cui interno si trovano tutte le forme possibili di una società, per cui nel "libro" della cultura occidentale s'incontrano teorie della relatività, due amanti segreti di nome Romeo e Giulietta, sottomarini gialli psichedelici, tecniche di urbanistica contemporanea, equazioni esponenziali, barbieri di siviglia, girasoli dipinti su tela, e Bob Dylan che canta "Mr Tamburine man".
Proprio negli anni in cui parlava John Lennon stava nascendo la musica pop, intesa come espressione artistica popolare, usando il termine "popolare" nella sua accezione più vera e completa. Certamente nella cultura popolare l'uso dei mass-media è strategico, e anche la musica ne ha usifruito e ne usufruisce ancora oggi. Il problema è che con gli anni si è passati dal termine "popolare" a quello di "massa", che riassume un pò i tempi che stiamo vivendo
La visione artistica della musica è rimasta del tutto intatta per la "vecchia musica", ovvero quella classica, che certamente non poteva e non può sfruttare i mezzi di comunicazione di massa come può fare il rock. Ma se sfruttare il medium significa mercificare e commercializzare la musica, allora forse sarebbe giusto chiamare quella musica con altri termini, perchè si potrebbe incorrere nell'errore in quanto la parola musica si trova già scritta sul libro "Cultura".
domenica 25 aprile 2010
Stasera il primo concerto al mondo trasmesso sullo smartphone apple
Il concerto di Vasco sul telefonino
Vasco Rossi sullo smartphone. E' quello che accadrà stasera a Torino in occasione del concerto che terrà il rocker modenese. Si tratta di una grande novità per il mercato della musica che, con l'avanzare delle nuove tecnologie, ridefinisce la sua posizione nell'industria culturale.
C'era una volta il disco, 33 o 45 giri. Poi le cassette e cd. La musica veniva ascoltata su piatti, mangianastri e stereo. Ma anche vista in televisione, con i Beatles ospiti a "ed sullivan show", i videoclip e le dirette dei concerti. Poi è arrivato Internet, con youtube & company che permettono di visualizzare contenuti enormemente maggiori rispetto a quelli televisivi e con modalità più interattive. Infine il concerto di Vasco Rossi sul telefonino, o videofonino, o internetfonino, o come si chiama oggi in maniera corretta, sullo smartphone. Significa che io posso essere fuori con gli amici e al costo di 3,99euro posso seguire la performance del "Blasco".
Novità. Si tratta di una novità assoluta per il mercato musicale; infatti quello del Paraolimpico di Torino è il primo concerto al mondo trasmesso sullo smartphone di Apple. Per "assistere" al concerto bisogna scaricare la "app iVasco", che in questo momento è l'applicazione più scaricata in Italia dall'Apple store di iTunes sezione musica.
Cambiamenti. Certamente la tecnologia in continua evoluzione ha sempre investito la musica, influenzando la produzione e la fruizione di questa. Nel 1999 gli U2 furono fra i principali promotori del primo esperimento di un web-concerto con il "Net Aid", un concerto a favore della diffuisione di Internet nei paesi poveri. La nascita del file mp3 ha accelerato la grande "onda-web" della musica, per cui all'interno di un piccolo dispositivo tascabile chiamato iPod, si possono trovare decine e decine di album musicali, tonnellate di canzoni di artisti di tutto il mondo.Lo smartphone è l'ultima frontiera, ma già dietro l'angolo si prospettano le successive innovazioni.
Perplessità. Ma è davvero sicuro che Jim Morrison o John Lennon reagirebbero con entusiasmo alla sempre maggiore mercificazione della musica? Indubbiamente vedere da Siracusa sul proprio telefonino il concerto di Vasco Rossi che si tiene a Torino è una grande possibilità.Ma il fatto stesso che la musica prenda strade sempre più veloci e di massa, comporta rischi di appiattimento artistico e smarrimento sociale. Se è vero che al pubblico pagante del Paraolimpico si aggiunge quello "invisibile" dello smartphone, è altrettanto vero che questo pubblico "invisibile" non può vivere in pieno l'emozione del "live" che procura sensazioni impagabili e irriproducibili. A questo punto il pubblico può solo accontentarsi di una riproduzione grossolana di un concerto, che potrà comodamente seguire in quasiasi luogo, anche in pizzeria, smarrendo il vero senso originario della musica e dei concerti nello specifico. Ma questo lo sa solo Vasco per il momento.
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